Tales Of Messina: Scilla e Cariddi, le terribili creature dello stretto di Messina

la leggenda di scilla e cariddi

Se c’è una regione italiana in grado di rapirti con la sua bellezza, incuriosirti con le sue storie e prenderti per la gola con tutti i suoi piatti, questa è sicuramente la Sicilia.

Non ho ancora messo piede al di là dello stretto e già mi sento a casa. Non so, è una sensazione che non si riesce a descrivere. Sarà il sole caldo di oggi, il vento gentile, il colore del mare, che forse mi ricordano la Puglia, ma sento di essere a casa.

Le regioni del sud, secondo me, hanno questo strano magnetismo emotivo: ti accolgono ancor prima di conoscerti. 

Lo avrete capito, sono sul traghetto che da Reggio Calabria mi porterà a Messina. Qui, navigando su questo stretto corridoio di mare che la Sicilia e la Calabria mi regalano la prima leggenda del tour siculo: la leggenda di Scilla e Cariddi.

Se oggi attraversare lo Stretto di Messina è un momento piacevole che rientra, se vogliamo, nell’esperienza di viaggio, nell’antichità significava sfidare due entità terribili, poste l’una di fronte all’altra, pronte a sottrati la vita. Parliamo di Scilla e Cariddi cioè “colei che dilania” e “colei che risucchia”. 

Ma vediamo cosa si nasconde dietro queste due entità così malvagie.

La leggenda di Scilla e Cariddi

La leggenda narra che Scilla era una splendida ninfa, figlia di Forco e Crateide. La giovane oltre ad essere bella, era dotata di grazia ed eleganza. Amava il mare, passeggiare sulla sabbia e farsi il bagno nelle acque cristalline del Tirreno. Un giorno, mentre era in spiaggia, sentì uno strano rumore proveniente dal mare. Incuriosita si alzò per vedere cosa stesse succedendo e si avvicinò al bagnasciuga. Notò l’alzarsi un’onda che si dirigeva verso di lei. Da quelle profonde acque blu apparve Glauco, un tempo pescatore tramutato in prodigio dagli dei. Glauco era per metà pesce e per metà uomo, aveva il corpo celeste ricoperto di alghe e squame.

La giovane Scilla, vedendo questo essere risalire dalle acque, si spaventò e corse via dalla paura. Glauco urlò il suo amore e il suo incanto. Provò anche a spiegare la sua storia, ma la giovane era ormai lontana.

Ma Glauco non potè dimenticare il viso e la grazie di quella ninfa.

Si recò da Circe (sì, la stessa Circe di Ulisse) e le chiese di realizzare un filtro d’amore in grado di far innamorare la giovane di lui.

Circe, ovviamente, ricordò al dio del mare che lui non aveva bisogno di filtri, che poteva prendere in sposa qualunque donna, se solo lo avesse voluto.

Poi cercò di consolarlo, gli si avvicinò e gli chiese di unirsi a lei.

Glauco non si lasciò coinvolgere e rifiutò la maga per quella “mediocre” ninfa.

Apriti cielo!

Circe indispettita come solo uno donna rifiutata può esserlo, preparò una pozione per eliminare la rivale dalla scena.

E così fu. Circe preparò questa terribile pozione e versò il suo contenuto nelle stesse acque in cui la ninfa era solita bagnarsi. Quando la giovane si immerse, si tramutò in mostro: aveva dodici piedi e sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti. Sui fianchi si materializzarono sei teste di cane che abbaiavano e ringhiavano ferocemente. La ninfa, un tempo dotata di grazie e bellezza, vedendosi trasformata in quel terribile mostro, cercò riparo in una caverna lungo lo stretto. Da allora chiunque le si avvicinasse veniva dilaniato e divorato dalle sue teste.

Glauco, incredulo, pianse e si disperò per il destino infame a cui aveva destinato la giovane.

Ma si sa, contro Circe non c’è speranza di redenzione. Solo Ulisse, con la sua furbizia riuscì a controllare la maga.

Cariddi, invece, a differenza di Scilla, non fu mai un’entità umana.

Era figlia di Poseidone e Gea ed era caratterizzata da un’incredibile voracità. Inghiottiva qualsiasi cosa le si avvicinasse. Si narra che addirittura osò divorare i buoi di Eracle durante il suo passaggio in Sicilia. Insomma, Cariddi, era davvero un mostro inarrestabile che inghiottita enormi quantità d’acqua per poi risputarla, divorando solo gli esseri viventi al suo interno come riporta Omero. 

Anche Virgilio nella sua Eneide racconta della voracità di Cariddi.

Insomma, oltrepassare lo Stretto di Messina non doveva essere proprio una passeggiata di salute.

Eppure oggi, ascoltando questa storia, non riesco a smettere di pensare a quanto sia affascinante.

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